Tra arte e tecnica
Sono nato a Milano nel marzo del 1961, a pochi passi dal Cenacolo. Ho avuto la fortuna di nascere in un luogo storicamente molto importante e, casualmente, sono da poco tornato ad abitare lì, nei pressi del luogo in cui sono nato.
Sono il minore di tre figli, l’unico maschio. Ho sempre praticato molti sport, dallo sci al tennis al calcio. Amavo e amo tutt’ora la natura e la vita in campagna: trascorrevo i weekend in famiglia in una casa alle porte di Milano. Da ragazzo andavo in vacanza in Inghilterra o negli Stati Uniti per imparare l’inglese. Al giorno d’oggi è normale ma allora non tanto e sono grato alla mia famiglia per avermi dato questa possibilità.
Una volta, durante una cena, avevo circa 14 anni, qualcuno mi chiese che cosa volessi fare da grande e, per quanto ancora non avessi le idee chiare sul mio futuro, risposi che volevo fare il manager e avere la prospettiva di una carriera internazionale.
I miei erano di origini romagnole, entrambi di Rimini. Mio padre, manager nella SIP, venne trasferito a Milano per ragioni di lavoro: trascorse tutta la sua vita lavorativa come progettista in quell’azienda. Da questo punto di vista, mi sento un po’ figlio d’arte, anche se, rispetto a mio padre, nella mia carriera ho voluto far prevalere i contatti e le relazioni più che gli aspetti tecnico-manageriali.
Nella mia crescita professionale, penso di aver saputo coniugare le competenze tecniche con la capacità nelle pubbliche relazioni con l’obiettivo di diventare ambasciatore del design a livello internazionale.
Il Politecnico: una fucina di talenti
Ho studiato architettura al politecnico di Milano negli anni Ottanta: la facoltà in quel periodo era una fucina di idee e di stimoli straordinari. Ci facevano lezione luminari come Franco Moschino, Andy Warhol, Corrado Levi. Allora si dovevano sostenere trenta esami, che spaziavano dall’analisi matematica alla fotografia…Era un percorso altamente formativo, completo.
Durante gli studi fortunatamente non ho fatto grande fatica, il percorso universitario è stato per me abbastanza agevole. Mi sono poi impegnato costantemente nel mio lavoro, sin dall’inizio, concentrando tutti i miei sforzi e la mia passione nel raggiungere gli obiettivi che mi prefissavo, puntando sempre più in alto.
Sono andato a lavorare a Torino: allontanandomi quindi dalla mia città, dai miei amici e dalle mie abitudini di vita. Ero concentrato sul voler fare carriera, consapevole che, per raggiungere grandi risultati, bisogna fare come gli atleti, cioè allenarsi tutti i giorni.
Il mio mentore: Giorgetto Giugiaro
Mi sono laureato nell’89 e ho iniziato a lavorare per una multinazionale americana nel settore marketing.
Dopo circa tre anni, ho fondato insieme ad alcuni compagni d’università uno studio di progettazione e di design. Mi piaceva molto il design. A quei tempi era una branca dell’architettura, non esisteva come “disciplina” a sé stante. I grandi designer erano i grandi architetti.
Poi un incontro speciale, di quelli che ti cambiano la vita: quello con Giorgetto Giugiaro, che era alla ricerca di un professionista che unisse alle competenze tecniche capacità relazionali e manageriali, per raccontare i progetti di design. Così ho lasciato lo studio e nel 1995 sono entrato a far parte del Gruppo Giugiaro. Ho avuto la fortuna di lavorare per 15 anni accanto a Giorgetto, che è stato il mio mentore. È stata la persona che mi ha insegnato il mestiere, oltre a darmi la possibilità di avere relazioni straordinarie.
Nella Giugiaro Design il mio compito specifico era quello di occuparmi di tutto quello che non fosse automotive: stavo, infatti, nella divisione Architettura. Abbiamo sviluppato centinaia di progetti di grandissima visibilità, nei settori più disparati: dalle macchine fotografiche Nikon F3, F4, F5 ai telefoni Sirio, dai treni Pendolino, Italo ed ETR 450 ai tram di Roma, di Torino, fino alla metro di Copenaghen. Abbiamo dato vita a prodotti egregi dal respiro internazionale.
Un passo importante nella mia carriera in qualità manager di Giugiaro ci fu verso la fine degli anni ’90, quando iniziammo a lavorare con il Giappone, con la Corea e infine, nel ’97, con la Cina, con la quale collaborammo per oltre 10 anni: era un paese completamente diverso rispetto a oggi; era una Cina “primordiale”, ancora postmaoista, ma c’erano centinaia di persone desiderose di ascoltare il nostro verbo.
Cantastorie del design
Iniziammo poi a lavorare con Dubai e, ancora, con la Russia, promuovendo la conoscenza del design e dell’eccellenza italiana.
Credo che l’impegno e la dedizione nel voler portare le eccellenze italiane del design nel mondo siano il frutto della mia enorme passione e dei saggi insegnamenti ricevuti dai grandi del settore, prezioso esempio e simbolo di sacrificio, studio e ambizione.
Dopo aver promosso a lungo la conoscenza del design e del made in Italy nel continente asiatico e nei paesi d’oltreoceano, ho deciso di rientrare in Italia e verso gli inizi degli anni 2000 ho cominciato a collaborare con le più importanti e rinomate realtà universitarie, italiane e straniere (oltre al Politecnico di Milano e Torino, ho lavorato con diverse università nel mondo in Cina, in Ungheria, a Hong Kong): operavo come un “cantastorie”, ovvero raccontavo i miei progetti agli studenti e descrivevo la contaminazione tra il mio mestiere d’architetto nel settore del design e l’ambito più prettamente manageriale.
Narrare la storia del design attraverso le nostre esperienze di vita significava narrare quel che gli studenti non potevano mai trovare in nessun libro.
Riscuotevamo un successo straordinario: le lezioni avevano un grande impatto sui giovani, perché generavano quell’humus dal quale nascevano qualificati professionisti. Molti studenti si cimentavano in percorsi formativi presso la Giugiaro Design e molti di loro, una volta concluso il percorso universitario, iniziavano a lavorare in importanti studi di architettura.
Da Giugiaro a Bertone
Nel 2010 il gruppo Giugiaro fu venduto alla Volkswagen e arrivò un’offerta interessante. Fui contattato da Lilly Bertone, vedova di Nuccio, che mi chiamò per una consulenza. Dopo vari incontri decidemmo di fondare una nuova società, la Bertone Design, che si occupasse non solo del mondo automotive ma di settori diversi inerenti al product design, industrial e progettuale.
Fu un’idea della quale non mi sono mai pentito: partimmo con il prezioso progetto Freccia Rossa 1000. Lilly Bertone rimase nella società per circa un anno e quando decise di uscirne mi fece promettere quel che lei stessa aveva promesso a suo marito, e cioè di portare avanti il marchio Bertone senza tradirne i valori e la qualità.
Così dal 2013 ho accettato questa importante e storica eredità: una grande responsabilità che ho colto con rispetto, custodendo l’anima del marchio e gli obiettivi intrinseci.
Ho ripreso il marchio e l’ho rimesso in corsa tutelandolo, senza mai “svenderlo”. Sono ripartito con umiltà e rispetto: ho aperto a Milano e sviluppato con un team di esperti una serie di progetti.
La nuova frontiera del design
Nel 2020 il Gruppo Italiano Progetti, la holding di proprietà che detiene il Marchio Bertone design, ha acquisito una nuova realtà, la New Crazy Colors.
Avevo la necessità di un’azienda che si occupasse della parte di modelleria, di produzione nelle attività di progettazione di interior per il settore hospitality, hotellerie e, ancora, retail e luxury goods.
Al brand Bertone Design, simbolo di capacità creativa e di scrupolosa progettazione, mancava la parte pratica, la divisione che coinvolgesse il processo produttivo, prototipale.
Abbiamo deciso di acquisire la New Crazy Colors nell’ottica di garantire un servizio completo, che ci permettesse di controllare l’intera filiera produttiva: dal design, la parte più innovativa e creativa, all’ingegneria e alla prototipazione fino alla produzione.
In questo modo le aziende Bertone Design e New Crazy Colors oggi possono controllare e garantire la realizzazione di un progetto o di un prodotto attraverso un flusso lineare, del tutto controllato internamente da tecnici, architetti esperti, abili artigiani e qualificati scenografi.
Le nostre 5 divisioni commerciali ci consentono di lavorare nel settore dell’interior design e di comunicare con brand di alta gamma del ramo moda, oltre a mantenere sempre vivo il contatto con i più importanti e rinomati studi di architettura.
Per noi la competizione non è sui numeri, è sulla qualità e sull’unicità dei progetti. Perciò si profilano dinanzi a noi innumerevoli e affascinanti sfide, prima tra tutte quella relativa al tema dell’ecosostenibilità nel design, ovvero tutta la sfera legata ai materiali riciclati e riciclabili e al loro riutilizzo.
Riteniamo che il nostro prossimo principale traguardo non sarà più solo progettare idee esteticamente belle e armoniose, ma dare vita a creazioni che dovranno rispettare i canoni della funzionalità e dell’ecosostenibilità: una nuova e ardua frontiera con la quale dovremo misurarci tutti e alla quale, sono certo, approderemo con la dedizione consueta. La stessa che ci ha portato fin qui e che ci spinge costantemente a incarnare il simbolo di ambasciatori del design italiano in Italia e nel mondo.