Alla Pergola dell’hotel Cavalieri di Roma la cucina di Mignon di Heinz Beck.
Heinz Beck, storia di Eccellenze Italiane 2016 e membro del nostro comitato scientifico. Clicca qui per conoscere la sua storia.
Prodotti mediterranei, leggerezza e digeribilità, tecnica avanzata e sinergie di sala sono i capisaldi di un ristorante totale, capace di rinverdire un mito della cultura romantica.
Potrebbe essere considerata l’ultima metamorfosi di Mignon, la cucina di Heinz Beck. Se è vero che la goethiana canzone di Mignon (“Kennst du das Land wo die Zitronen blühen”) è il manifesto di una nostalgia tedesca per il Belpaese, che ha conosciuto innumerevoli manifestazioni negli ultimi tre secoli, da Nietzsche a Gottfried Benn, passando per Joseph Beuys: quasi un motore creativo a energia solare. Non si spiega altrimenti il fascino tutto particolare di una cucina dove il Mediterraneo, mai posseduto né dato per scontato, diventa poesia e desiderio dell’altro. Lo sguardo chiaro e la tecnica ineccepibile nel protendere il piatto come un obiettivo fotografico. “Dahin”, laggiù, come ripete la ragazzina.
Il nuovo viaggio in Italia di Heinz Beck dura dal 1994, quando il cuoco trentenne di Friedrichshafen ha posato piede per la prima volta sotto le Alpi, senza parlare una parola di italiano. La sua formazione, dopo l’alberghiero a Passau e il master presso la scuola di Altötting, si era svolta quasi tutta in patria, a Monaco presso un catering stellato, a Friburgo quale chef de partie del Colombi Hotel e soprattutto presso il leggendario Tantris di Heinz Winkler, nelle vesti di secondo e pasticciere. Era la casa di una cucina francesizzante, moderna secondo gli standard del tempo, teutonica per solidità, tecnica e rigore. Poi il Tristan di Mallorca e il Residenz di Aschau, sempre in qualità di sous-chef.
“A Roma ho cercato di ambientarmi, mangiando nei ristoranti tipici e studiando i libri di cucina. Ma non è così che si sviscera una gastronomia. Per capire cosa fosse l’italianità ho dovuto aspettare di conoscere mia moglie Teresa, che è siciliana. Perché il sapore passa sempre attraverso la famiglia e l’affetto. Oggi faccio una cucina d’autore con influenze italiane, qualcosa che fa parte della forma mentis di un popolo come il mio, avvezzo alle contaminazioni per mancanza di frontiere naturali. Ed è in continua evoluzione: in questo momento sto lavorando a 15 piatti nuovi. Non smettiamo mai di ricercare prodotti di qualità, da elaborare con tecniche e cotture nuove, in cerca di equilibri diversi. Ad esempio, gli ortaggi di un’azienda biodinamica del Reatino o le erbe di una signora dei Castelli. Perché quando conosci il produttore, vai sul sicuro”.
Lo testimonia il laboratorio che affianca la vasta cucina, con la sua parata di tecnologie che mette sull’attenti i cuochi: tre liofilizzatori (“perché uno non bastava, ma ci sono voluti tre anni per ricavarne il primo piatto”), la centrifuga ad alta velocità, il distillatore a rotazione, l’estrattore, il Gastrovac, utile per non disperdere i nutrienti in cottura grazie alle basse temperature… Fra i focus della cucina infatti c’è la salubrità, approfondita con l’aiuto di professori e dottori. “Perché se è vero che siamo quello che mangiamo, abbiamo il dovere di dare al nostro organismo ciò di cui necessita. Ne tengo conto al momento di modulare il crescendo del menu degustazione, in modo che risulti equilibrato e leggero. Perché ogni pasto finisce il giorno dopo, quando si è digerito”. Senza dimenticare lo scarto zero: i ritagli nella pancia dei macchinari si convertono in polveri, basi di salse o fragranti meringhe salate. “Ma non faccio cucina molecolare: uso più la fisica della chimica, cioè degli additivi. E non manca la padella per tante preparazioni, in cui cerco sempre il punto di coincidenza fra curva organolettica e nutrizionale. Durante il servizio non sto al passe, ma mi sposto, manteco una pasta, controllo una cottura, finisco una salsa”.
Prodotti, Tecnica, Salute: ma ad assicurare la stabilità del ristorante è l’ultimo vertice, chiamato “servizio”. La brigata, fra le più celebrate d’Italia, è guidata dal direttore Simone Pinoli e dal sommelier Marco Reitano, che amministra una carta ricca di 3600 referenze, costruendo percorsi di abbinamento ad hoc sui desideri degli ospiti. Né mancano le finiture al tavolo, compreso il trancio al guéridon, che crea l’occasione per raccontare meglio il piatto.
Fonte: Reportergourmet.com
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