Il sogno della modernità
Sono nato a Ceggia, un paesino della provincia di Venezia, il 19 aprile del ’52, primogenito di Gino e Ines, due giovani che si erano sposati un paio di mesi prima, il 19 febbraio: i miei genitori erano persone piene di coraggio e, a quei tempi, ce ne voleva non poco per presentarsi in chiesa con un erede già nella pancia della sposa. Entrambi amavano la radio, io ascoltavo quella musica che forse è diventato un imprinting, una direzione per tutta la vita.
Mio padre era il ribelle della famiglia: non faceva per lui, con l’animo del viaggiatore, il legame con la terra che ti tiene fermo, anni e anni, senza scosse. Gino era un antifascista convinto, sognava la città, la tecnologia e strade lunghissime da percorrere giorno e notte con un senso moderno di libertà. Un anno e mezzo dopo, il 19 settembre del ’53, nacque mia sorella Daniela. Il numero 19, non so per quale strano motivo, caratterizza le date più importanti della mia famiglia d’origine.
Nel giro di qualche mese, alla fine dell’anno, fummo a Milano, per cambiare vita e per continuare a sognare. Non ricordo in che giorno arrivammo, ma non mi stupirei se dovessi scoprire che era un 19.

La colonna sonora della mia infanzia
Milano non era ancora, agli inizi degli anni ’50, la metropoli che è oggi. Ma per i miei genitori realizzò in buona parte le speranze per cui erano partiti. Mio padre divenne camionista di linea, vendette la sua vecchia 1.100 e con il ricavato poté acquistare un’utilitaria, un mobiletto con la radio e il giradischi incorporati e la tv, a rate, che allora rappresentava un lusso che ben pochi volevano permettersi.
Sono diventato in fretta un appassionato ascoltatore e telespettatore. Mai avrei immaginato di poter stare dall’altra parte. Non lo immaginavo, ma forse qualcosa dentro di me aspirava a questo anche se non ancora non lo sapevo.

Il sogno
Quando vivevamo al Giambellino cominciai a frequentare la Parrocchia di San Murialdo e il suo oratorio. Facevo il chierichetto, lo scout, il venditore di Famiglia Cristiana e questo, credo, mi insegnò a cercare quello che era buono per me ma anche per gli altri: non può esserci gioia senza condivisione.
Mio padre, intanto, cambiò di nuovo lavoro e iniziò a fare il tassista. Ci trasferimmo in quella che sarebbe stata la nostra dimora definitiva, ma a causa di tutti cambiamenti che c’erano stati, io non avevo un solo amico stabile.
Eppure non mi sentivo solo. Avevo i miei interessi: amavo i fumetti e, soprattutto, ero affascinato dal cinema di Hollywood che incarnava perfettamente il sogno americano.

L’importante è che qualcuno suoni bene: non è necessario che quel qualcuno sia tu!
Facevo ancora le medie che imparai a suonare la batteria sui fustini del detersivo perché alcuni compagni, intenzionati a formare un complessino, mi chiesero di fare il batterista. Smisi, quando, fui sostituito da uno molto più bravo. Che importava? L’importante era che la band avesse un batterista bravo, non che il batterista fossi io.
Vendetti la mia mitica batteria Ludwig e comprai uno stereo Hi Fi, una meraviglia della tecnologia, sebbene usato.
Mi iscrissi a un Istituto Tecnico, il Feltrinelli, e continuai ad ascoltare la musica e ad amarla, forse più di prima. Mi appassionavano le storie dei manager degli artisti e di quei personaggi, i talent scout, capaci di scoprirne di nuovi. E, anche in questo caso, non avrei potuto immaginare che un giorno quel mestiere così affascinante ai miei occhi di ragazzino sarebbe diventato il mio.

A tutta musica nel mondo che cambia
Gli anni all’Istituto Tecnico Feltrinelli volarono e, finita la suola, pensai che fosse tempo di cercare un lavoro per occuparmi di musica. Con mio padre non si poteva discutere, tenni il sogno nel cassetto e mi iscrissi all’università: “Scienza delle preparazioni alimentari”. Ma guadagnare qualche soldo era per me irrinunciabile e, all’incirca dal 1968, iniziai a fare la comparsa per qualche trasmissione della Rai.
All’inizio degli anni Settanta, l’Italia stava vivendo un periodo di grande fermento. In questo contesto, la figura del Disc Jockey iniziò a emergere come nuova protagonista della scena musicale. E, a un certo punto, lavorando qui e là, mi trovai un po’ per caso dietro a una consolle. Era il 1973. Nascevano allora le prime discoteche. Il ruolo di dj richiedeva non solo una buona conoscenza musicale, cosa che a me proprio non mancava, ma anche abilità tecniche e una certa sensibilità nel leggere e coinvolgere il pubblico.
Dopo pochi anni, nel ’76, mi ritrovai a lavorare al Divina, una dei locali più all’avanguardia e più noti in Italia. Lì capii che quel nuovo lavoro cui mi dedicavo con tanta passione, più che di tecnica doveva nutrirsi di parole. E così, nonostante una certa timidezza, mi lanciai nella nuova avventura, aiutato dal fatto che già da un anno lavoravo in radio, prima Milano International poi Radio 105. Era partita la storia mitica delle emittenti private e fui tra i primi a cavalcare l’onda.
Anche le tv commerciali muovevano i loro primi passi e fui chiamato, nel 1978, da Mike Bongiorno, il direttore artistico di Telemilano 58 (poi Canale 5), a presentare Chewing Gum, il primo programma musicale dell’emittente.
Vendetti la mia mitica batteria Ludwig e comprai uno stereo Hi Fi, una meraviglia della tecnologia, sebbene usato.
Mi iscrissi a un Istituto Tecnico, il Feltrinelli, e continuai ad ascoltare la musica e ad amarla, forse più di prima. Mi appassionavano le storie dei manager degli artisti e di quei personaggi, i talent scout, capaci di scoprirne di nuovi. E, anche in questo caso, non avrei potuto immaginare che un giorno quel mestiere così affascinante ai miei occhi di ragazzino sarebbe diventato il mio.


Se sei convinto, il mondo ti dà ragione
Il mondo stava cambiando e io mi sentivo parte integrante di quel cambiamento, un po’ come mio padre, che aveva corso i suoi rischi pur di prendervi parte. Decisi di lasciare l’università – poco male, non me ne pentii mai – poiché sentivo che le esperienze reali, fuori dalle aule, mi avrebbero offerto lezioni di vita più preziose.
Intrapresi numerosi lavori, ognuno dei quali mi insegnò qualcosa di fondamentale. Ho conosciuti persone straordinarie che mi hanno ispirato e mostrato diverse prospettive sulla vita e sul lavoro. Queste esperienze mi hanno aiutato a trovare la mia strada, a capire veramente chi ero e cosa volevo fare.
Sono stati anni fondamentali. Quando capisci chi sei, il futuro si apre davanti a te, pieno di possibilità. Se lavori con dedizione e con il cuore, il mondo ti darà ragione.

Da Discoring al Festival di Sanremo
E poi la fortuna ti bacia, premiando la tua ostinazione, i sacrifici fatti e le scelte coraggiose.
Durante l’estate del 1979, mi stavo stancando della disco music tradizionale. Avevo iniziato a ridurre le mie presenze al Divina, rinunciando in particolare al sabato sera, che era diventata una serata a richieste, e non era bello lavorare così.
In quel periodo venni a sapere che la Rai cercava un DJ a Discoring, un programma cult che era stato presentato, fino ad allora, dal mitico Gianni Boncompagni. Dopo un provino al cardiopalma, fui scelto e la mia prima puntata andò in onda il 21 ottobre 1979. Ero bravo e presto diventai il ‘volto di Discoring’.

Il grande salto: tre edizioni di Sanremo
Nel novembre 1979, ricevetti una telefonata che avrebbe cambiato la mia vita. Gianni Ravera, il ‘patron’ del Festival di Sanremo, mi chiamò perché voleva rinnovare la kermesse, ritenendo pensando che il modo di essere e di lavorare fosse ideale per far tramontare l’epoca del presentatore egocentrico, dando più spazio alla musica.
Accettai la sfida con entusiasmo, nonostante i dubbi iniziali. I dirigenti Rai furono talmente soddisfatti che mi proposero di condurre anche il tradizionale varietà del sabato sera abbinato alla lotteria di Capodanno, Scacco Matto, con Pippo Franco e Laura Troschel.
Insomma, Sanremo 1980 fu un’edizione rivoluzionaria, che risollevò le sorti di una manifestazione in profonda crisi e che ebbe 20 milioni di telespettatori, un vero e proprio trionfo personale, tanto che poi ne condussi altre due.

Gioca Jouer
Nel 1980, durante le prove per Scacco Matto, pensai di realizzare un disco che fosse anche un gioco. Mi ispirai alla coreografia che dovevo eseguire ogni settimana. Volevo un pezzo con movimenti semplici e intuitivi, che il pubblico potesse replicare facilmente.
Parlai della mia idea a Giancarlo Meo e Claudio Simonetti e nacque il Gioca Jouer. Il disco divenne la sigla di Sanremo 1981, la cui prima puntata andò in onda il 5 febbraio.
Condussi le tre serate insieme a Nilla Pizzi e a Eleonora Vallone. Il pubblico mi accolse con entusiasmo e il Gioca Jouer divenne un vero e proprio fenomeno. Vendette 500.000 di copie nel primo trimestre dalla sua uscita; qualcuno mi disse, e credo non avesse torto, che con il Gioca Jouer ero stato io il vero vincitore del Festival.

Editore, produttore e talent scout per vocazione
L’anno successivo presentai Fantastico 2 e già il 29 gennaio iniziai Sanremo ’82. Finalmente potevo realizzare i miei progetti. Per questo avevo firmato un contratto con la Fininvest, accettando un’offerta nettamente superiore a quella della RAI. Infatti, già da tempo, avevo deciso di trasformarmi in produttore discografico e di fondare una radio mia, in cui poter esprimere liberamente il mio desiderio di condividere la musica. Volevo fare Radio DeeJay. E l’ho fatta. Era l’1 febbraio dell’82.
La radio esordì trasmettendo fino alla fine dell’estate solo musica. Soltanto alcuni mesi dopo comparvero i Dj. Io fui il primo ad andare in onda. E la vera rivelazione fu un certo Virginio Scotti, che però, sin dai tempi del liceo, si faceva chiamare Gerry. Nell’84 esordii anche come produttore discografico, creando l’etichetta Ibiza Records e producendo per Sandy Marton il singolo “People from Ibiza”, che riscosse un grande successo anche a livello internazionale.
Nell’estate 1983 condussi per la prima volta il Festivalbar, seguito da altre cinque edizioni consecutive, e acquistai Radio Capital. Fu quella una stagione straordinaria in cui, oltre alla radio, portai al successo DeeJay Television.
Amavo ed amo il talento, lo vedo subito, brilla. Mi accendo quando scopro un artista. Penso subito a come fare per aiutarlo a diventare il numero UNO. Numeri uno come Gerry Scotti, Jovanotti, Fiorello, gli 883 di Max Pezzali, Pieraccioni, Amadeus, Sandy Marton, Taffy, Tracy Spencer, Sabrina Salerno… e poi Fabio Volo, Marco Mazzoli, Daniele Bossari, Marco Baldini, Luca Laurenti, i Finley, DJ Francesco… dimenticando sicuramente qualcuno… il talento che scoprirò domani.


Ultime news dal mio mondo
Tralasciando tante avventure incredibili in questi ultimi anni, voglio soffermarmi su qualcosa di veramente recente.
Il 19 aprile 2023, un giorno per me particolare perché coincide col mio compleanno, ho deciso di fare un altro passo avanti. E così è nata Radio Cecchetto! Un’emittente radiofonica che non solo trasmette musica, ma racchiude tutta la mia passione per l’intrattenimento. Ma la vera ciliegina sulla torta è arrivata nel 2023, quando Rai 1 ha mandato in onda il documentario “People from Cecchetto“: un viaggio emozionante attraverso la mia vita e la mia carriera, con interviste esclusive. È stato un onore e un piacere vedere la mia storia raccontata sullo schermo, grazie al talento di Emanuele Imbucci.
E l’1 febbraio 2024, esattamente 42 anni dopo il debutto di Radio Deejay, ho lanciato il mio ultimo gioiello: “Riccione On Air”, la mia seconda radio web! Una nuova avventura che mi porta nella meravigliosa Riccione, pronto a donare ancora momenti indimenticabili di musica e divertimento.
