Un giovane curioso
Quest’anno compio cinquant’anni e nonostante la consapevolezza che mi dà l’età, mantengo lo stesso entusiasmo di quando, da bambino, smontavo orologi e piccoli oggetti per studiarne il funzionamento. Le rare volte in cui riuscivo a farli funzionare di nuovo, andava tutto bene: purtroppo non andava quasi mai così, e i miei genitori mi riprendevano spesso.
Ho frequentato l’istituto tecnico, e a sedici anni ho chiesto a mio padre di portarmi dal notaio per costituire una società, una SAS, che si occupava di manutenzione ai sistemi IBM. All’epoca c’erano ancora i signori dell’IT in camice bianco, che entravano nei data center a cambiare i bobinoni e quant’altro. Questi bobinoni andavano mantenuti, l’ambiente in cui si trovavano doveva essere asettico, così dopo scuola io prendevo il treno portandomi dietro l’attrezzatura e mi occupavo dei data center. Mi sentivo importante nel mio piccolo, a gestire macchinari così imponenti. Sapevo che in quegli apparecchi c’era il futuro.
I maestri d’oltreoceano
A ventun anni sono partito per assistere al Congress, una fiera internazionale a Las Vegas. Era un mondo abbagliante, c’erano quattro anni di differenza fra la vita in Europa e quella negli Stati Uniti. Vedere il futuro svolgersi lì, di fronte ai miei occhi, mi lasciò incantato. Durante quei giorni è nata in me una fame di innovazione e di progresso che non si è mai più placata.
Le grandi imprese del settore informatico stavano nascendo in quegli anni: la Microsoft, la Apple. Era possibile assistere agli speech di Bill Gates in una sala conferenze con poche centinaia di posti, oppure abitare per un mese a un isolato di distanza da Steve Jobs. Due figure esemplari, oggi due veri e propri titani che ti illuminano con la loro forza. Sentivi che in quelle conferenze stava nascendo una nuova visione del mondo.
Immagina di essere in un aeroporto e di osservare un aereo che decolla: dove andrà? Chi siede dietro gli oblò? È un viaggio che si sta compiendo. Immagina dove può atterrare quell’aereo? Ovunque! Questo è l’innovazione: mettere assieme, magari anche in maniera accidentale, le menti che costruiranno la destinazione di quell’aereo.
Pioniere dell’informatizzazione aziendale
A ventiquattro anni fondo la PAT, un’azienda che si occupa di software per il supporto ai clienti. In un mondo, e mi riferisco al 1992, in cui i grandi stavano appena cominciando a entrare nel mercato e a far diventare questa microinformatica, questa informatica individuale, una materia quotidiana, in quel momento lì ho capito che la nuova frontiera era il servizio collegato a questo tipo di prodotti. La passione che avevo fin da bambino nello smontare e riaggiustare gli oggetti si è rivelata fondamentale!
La mission di PAT è quella di affiancare le aziende clienti con soluzioni software evolute, innovative, efficaci e strategiche, che garantiscano un veloce raggiungimento dei loro obiettivi. Come dico sempre ai miei ragazzi, noi dobbiamo vincere e per vincere dobbiamo avere solo l’innovazione. Non abbiamo i milioni che hanno gli altri per comprarsi le idee, perché un investitore gli ha chiesto di investire in un settore rispetto a un altro. Noi dobbiamo anticiparli.
InfiniteArea, un investimento sui giovani
A cinquant’anni ripensi la tua vita e rifletti su ciò che lascerai agli altri. Un give back. Dopo aver visto e aver realizzato tanto devi stimolare suggerire altrettanto a chi verrà dopo di te. InfiniteArea è un luogo dove si ospita un nuovo modello di innovazione applicato alle imprese, in cui le si aiuta a raggiungere velocemente i loro traguardi, le loro tappe. Quando mi trovo di fronte un giovane cerco in lui la forza, l’entusiasmo, la fame. La fame è un elemento fondamentale, non si può studiare sui libri di scuola: occorre avere voglia di mettersi in gioco senza porsi limiti, considerando i soldi come un secondo aspetto. Ai giovani consiglio di investire nella conoscenza, che oggi non è più difficile raggiungere, per dare un libero sfogo alla loro sete di novità.
La formazione nell’era del cambiamento
Il fattore tempo è molto importante: pensiamo che il dispositivo che abbiamo nella giacca, lo smartphone, solo dieci anni fa non c’era. È difficile pianificare lo studio di un ragazzo a cinque, dieci, quindici anni, e pensare che quello che sta iniziando a studiare gli possa servire nel risolvere i problemi di oggi. Questa è la sfida che la nuova generazione deve saper affrontare. Per sbagliare di meno, per diventare più consapevoli, i giovani devono saper analizzare: trovare informazioni, interpretare quelle informazioni, metterle insieme velocemente in modo che queste informazioni riescano a raccontare qualcosa. Quindi ricercare, continuare a ricercare! Come io cercavo pezzi per gli orologi e le sveglie, cose che non esistono più. Oggi più che mai bisogna saper mettere insieme, per costruire una destinazione che non abbiamo ancora previsto.
Rigenerare le proprie risorse
In un mondo in cui il terreno sarà sempre meno, in cui l’agricoltura sarà sempre più complicata e cominceranno a mancarci le risorse, dobbiamo prepararci mentalmente all’idea di rigenerarci. Dobbiamo riprendere ciò che abbiamo buttato e farne qualcosa di nuovo.
Il capannone è uno dei simboli dell’archeologia industriale. Grandi mezzi, grandi produzioni, grandi mercati, grandi camion che giravano per la strada. Tutto questo sta svanendo. Immaginiamo che io, stasera, vado in albergo e decido di ordinare un libro o una rivista. Questo prodotto arriva in quattro secondi netti sul mio dispositivo, in digitale, e lo posso leggere durante il viaggio di ritorno a casa.
Noi stiamo già pensando a cosa verrà dopo, a quale sarà l’approccio successivo alla gestione degli ambienti aziendali. La sede è stata creata in dodici mesi di lavorazione ma soprattutto con un pensiero che è andato oltre. Uno sguardo che guarda alla potenza, intesa come possibilità, slancio verso una nuova forza.
Credo moltissimo nel progetto Eccellenze Italiane. Abbiamo iniziato un percorso, un’experience, e un imprenditore che si racconta come imprenditore vale più di mille parole, vale più di mille seminari accademici. L’Italia è piena di queste storie, e sono la linfa vitale e l’energia che dobbiamo trasferire ai nostri giovani.
La crisi come trasformazione
Più che di crisi io parlo di trasformazione, di opportunità, perché parlare di crisi fa piangere. Il veneto è stata la regione che ha avuto più suicidi fra gli imprenditori. L’azienda qui è prioritaria anche rispetto alla famiglia, ed è un aspetto questo che è in antitesi con quello che ci viene detto nei giornali e in TV.
Quando devi traslocare da una casa più grande a una più piccola, cominci a guardare le cose che non ti servono più. Dobbiamo vedere la crisi come un momento positivo per mettere in ordine le nostre priorità, per ripartire e dare il giusto valore alle nostre risorse.
Questa è l’eccellenza italiana. È pensare fuori dagli schemi, cavarsela da sé, rimettersi in gioco e assolutamente non pensare che le cose si fanno solo in un certo modo. Soffriamo di nanismo, non riusciamo a esplodere, ma ci piace fare e basta andare in qualsiasi città per scoprire un’Italia che all’interno ha ancora moltissimo da dare.
La sfida continua
Non c’è e non c’è mai stato un momento in cui ho pensato “Ah, ce l’ho fatta, ora è finita”. Nel momento in cui decidi che sei arrivato, sta già iniziando il declino. Quando mi presento a un cliente spesso dico: “No guardi, io sono un impresario, perché è un’impresa mandare avanti un’azienda ogni giorno.” È una battuta, ma è profondamente vera! Ogni giorno è una nuova sfida, ogni giorno ci sono problemi, nuovi collaboratori, situazioni da chiarire, concorrenti nuovi. Ogni giorno c’è da reinventarsi. Proprio questa sfida continua fa sì che invece di sentirti arrivato, tu abbia sempre voglia di crescere e di cambiare.
Un tempo quando mi immaginavo a cinquant’anni pensavo che sarei ormai arrivato. La vedevo come un’età lontana, in cui mi aspettava una quieta discesa. Invece mi ritrovo che a cinquant’anni ho ancora tutto il mondo davanti: anzi, sono fortunato perché ho maturato esperienza e reputazione, mantenendo la stessa voglia di fare che avevo da ragazzino.
Un nuovo traguardo con Sport System
Oltre a PAT, oltre a InfiniteArea, i miei orizzonti continuano ad espandersi. Di recente mi hanno proposto di diventare presidente dell’associazione sport system, che rappresenta Montebelluna, un territorio ampio e con un brand famoso in tutto il mondo. Diciamo che l’80% delle calzature sportive vengono progettate oggi in questi luoghi. L’associazione comprende anche il museo della calzatura di Montebelluna, un piccolo tesoro della memoria locale.
La mia principale regola d’ingaggio è il distracting change, il cambiamento di quello che succede. Il mio commitment, la mia mission è quella di far ripensare quello che noi abbiamo fatto, quello che il territorio ci ha dato, in una modalità completamente nuova.
Abbracciare il cambiamento
PAT, la mia prima azienda, è nata in un momento di svolta unico in cui l’industria stava cambiando per sempre? Sì e no. La verità è che il mondo ormai si muove con ritmi frenetici, e che in ogni momento sono in corso enormi cambiamenti, rivoluzioni che sta a noi comprendere e anticipare. I mezzi verranno: basta quella scintilla, quell’idea che sovverte l’ordine, per cambiare il mercato e spingerlo a trasfigurarsi in qualcosa che magari neanche noi avremmo pensato.
È un mondo meraviglioso, da affrontare ogni giorno sapendo che mai quanto oggi possiamo farne parte, se ci mettiamo in gioco con tutto noi stessi. Il domani è un giorno nuovo, un giorno migliore, un giorno che sarà come hai intenzione di immaginarlo.